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Food, Storie di alimenti

L’origine degli ingredienti

Il consumatore medio italiano è spesso ignaro sulle caratteristiche di ciò che si infila in bocca. Passa dall’esaltazione dei prodotti DOP allo scandalo sull’origine degli ingredienti con leggerezza disarmante. Ma non c’è da meravigliarsi, quando anche prodotti che penseremmo italiani non lo sono del tutto.

Alcuni esempi noti:

Il prosciutto cotto? Quasi sempre prodotto a partire da cosce di suino estero

La pasta? Lavorata in Italia ma a partire da una miscela di semola di grano duro di provenienza internazionale con miscele sempre diverse per mantenere costante le proprietà reologiche

Il latte UHT? Se non espressamente indicato come latte italiano proviene dall’estero (anche se confezionato in Italia)

Ma anche prodotti tutelati con il marchio IGP: lo speck del trentino prevede nel disciplinare l’utilizzo di cosce suine europee. La bresaola della Valtellina non prevede restrizioni di provenienza della carne bovina. Quindi può essere carne proveniente da tutto il mondo

Proviamo a fare un po’ di chiarezza sull’argomento. Innanzitutto: l’informazione. Quali prodotti alimentari riportano in etichetta informazione sull’origine degli ingredienti? Pochissimi. Quasi esclusivamente quelli legati a particolari obblighi di legge. Il latte fresco, per esempio ha l’obbligo di riportare in etichetta la zona di mungitura. I pomodori pelati hanno l’obbligo di indicare la nazione di provenienza del prodotto. Casi rari.  Infatti, per i prodotti alimentari presenti nella grande distribuzione, la normalità consiste nell’assoluta omertà sulla provenienza geografica degli ingredienti.

Il regolamento europeo sull’etichettatura (Reg. CE 1169/2011) non prevede di informare il consumatore a meno di casi in cui il consumatore stesso possa essere tratto in inganno (lasciando molta incertezza su quando ciò possa avvenire o meno). Non si tratta di una legge vecchia…. è un regolamento europeo promulgato nel novembre del 2011. Regolamento che ha visto, nel corso della sua scrittura, accese discussioni proprio sul punto dell’indicazione di origine.

Non solo. Dal punto di vista del consumatore italiano c’è anche un passo indietro. La legge italiana (ancora pienamente in vigore) prevede l’obbligo di indicazione dell’indirizzo dello stabilimento di produzione o di confezionamento mentre il regolamento europeo prevede solo l’indicazione del responsabile commerciale (ovvero il detentore del marchio). Si perderà così anche l’informazione del luogo di lavorazione o trasformazione. Questa situazione è già evidente confrontando un etichetta di un prodotto proveniente da un altro paese comunitario ed uno prodotto in Italia. In quello prodotto in un altro paese non viene riportato l’indirizzo dello stabilimento di lavorazione o confezionamento. Al massimo, per i prodotti di origine animale, viene riportata un numero o una sigla di riconoscimento da cui poi ricavare l’informazione, ma chi non è esperto fa fatica e ha comunque bisogno del web.

Tutte le iniziative, quindi, che cercano di fare maggiore chiarezza sull’origine dei prodotti e sull’origine degli ingredienti sono totalmente volontarie. La vicenda dei prodotti Coop e della App che ci permette di conoscere l’origine dei prodotti dovrebbe far capire all’industria alimentare che le possibilità di trasparenza ci sono. Si può indicare la provenienza degli ingredienti anche in etichetta. Il problema è che il consumatore si accorgerebbe che la maggioranza degli ingredienti che mangia quotidianamente è di origine straniera e questo spaventa enormemente sia i produttori che i consumatori.

Aurelio Trevisi

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