Capita sempre più spesso di leggere e sentir parlare di export alimentare. Ma altrettanto spesso i mercati stranieri vengono visti come una meta paradisiaca in grado di generare fantasmagorici volumi di vendita. Per tonare con i piedi per terra a volte è necessario essere brutali. Di seguito una parte rubata da una conversazione con un imprenditore italiano all’estero.
Sono molto scettico sul cibo italiano all’estero, al di là di poche persone che se lo possono permettere e hanno un palato flessibile, il mercato è troppo piccolo dappertutto. il fatto in Italia siamo tutti gasati dalle nostre “eccellenze” non significa che l’altro 99% del mondo muoia dalla voglia di adattare i loro gusti alimentari ai nostri. Esattamente come all’italiano medio non interessa provare “kottu parota” o “palak paneer”, per quanto deliziosi siano, allo straniero medio non interessa pasta ripiena e gorgonzola, per quanto deliziosi siano. Il mio vicino di casa, per esempio, pensa che pasta e pizza siano la stessa cosa. Ma noi italiani non siamo da meno: chiamiamo kebab lo “shawarma” e il “sashimi” lo chiamiamo sushi. Non c’è da sorprendersi che agli stranieri non interessi niente ne’ del made in Italy, né dei DOP o dei DOC. è cosa nostra, non cosa loro.
La lettera continua con alcuni validi suggerimenti commerciali.
Si può condividere o meno ma di sicuro servirebbe come lettura per molti imprenditori o resp. commerciali prima di affrontare investimenti per aggredire il mercato estero e per restare con i piedi per terra. Poche illusioni quindi.
Aurelio Trevisi